La moria dei delfini (e non solo)

9 Settembre 2019 - Categoria: Ecologia

 

La ricorrente notizia del ritrovamento di delfini morti sulle nostre coste (l’ultimo pochi giorni fa a Fiumicino) mi riporta memorie  legate a questi magnifici cetacei. 

Da ragazzo nel dopoguerra mio padre mi inviò a lavorare su un peschereccio di sua proprietà armato a Fiumicino.

A parte l’esperienza di riconoscimento delle varie specie di pesci e i rudimenti di cucina marinara, mi colpirono gli atteggiamenti dell’equipaggio nei confronti dei mammiferi marini. All’ avvistamento di uno di essi – da loro definiti “fere”  (dal latino  fera) ,considerati nocivi , o”campidogli” (i capodogli,  anch’essi presenti)- imbracciavano il moschetto  (usato anche per fare esplodere le mine galleggianti allora comuni nel Tirreno).

L’avversione verso i delfini la riscontrai anche nel 1957 in un viaggio su un cargo lungo le coste dell’Africa occidentale, in cui il nostromo, di Messina, si divertiva a scagliare arpioni contro i defini che apparivano sotto la prua, pur senza speranza di poterli recuperare. In quegli anni, nei più forniti negozi di caccia si vendevano grossi fucili lanciarpioni per uccidere i mammiferi marini.

D’altra parte allora i delfini erano considerati prede e uccisi, sia per evitare danni alle reti, sia per la confezione del “musciame”, filetto di delfino seccato e salato apprezzatissimo nelle cucine liguri (ancor oggi, nonostante l’assoluto divieto).

La preoccupante diminuzione dei delfini a altre specie marine dalle tartarughe alle cernie, dal gabbiano corso alle foche monache, convinse il WWF di organizzare nel 1979, con l’appoggio della Amerigo Vespucci, nave scuola della Marina militare, una grande campagna di sensibilizzazione in tutto il Mediterraneo.

L’ operazione “Il mare deve vivere” ebbe un grande successo. Il 21 maggio del 1980, a crociera conclusa, il ministro della Marina mercantile Nicola Signorello emanò un decreto che vietava la caccia a tutti i mammiferi marini (compresi delfini e foche monache), alle tartarughe marine, a tutti gli uccelli marini e anche agli storioni.

Questo esemplare provvedimento migliorò la situazione per i delfini, le tartarughe, i gabbiani e pure per le cernie,  favorite dal divieto di pesca subacquea con le bombole del gennaio 1980.

L’aumento numerico dei delfini (e soprattutto la loro maggiore confidenza con l’uomo e le acque costiere) li espone oggi sia a malattie contagiose come probabilmente il morbillovirus, sia all’ ingestione di rifiuti di plastica, sia agli impatti con i natanti a motore.

Ma, se ci può essere una morale, nonostante tutto la natura sta riprendendosi i suoi spazi. Grazie alle misure di protezione degli ultimi decenni, i lupi si sono salvati dall’estinzione, le tartarughe marine (la cui nidificazione era in passato un fenomeno eccezionale) sono divenute frequenti, gli orsi sulle Alpi, già praticamente estinti negli anni 80, sono tornati, così come cicogne, falchi pescatori e fenicotteri… 

Tutto questo, mentre in gran parte del Pianeta Homo sapiens  sta perpetrando le ultime devastazione di un tesoro  di biodiverstà donatoci da un Creatore generoso e imprevidente.

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