Enciclica papa francesco
26 Giugno 2015 - Categoria: EcologiaLa magistrale enciclica di Papa Francesco non poteva essere più completa, coraggiosa e documentata. E l’entusiasmo che ha raccolto, non solo da parte di organismi cattolici e laici impegnati nella difesa del Creato, ne è la testimonianza più concreta. Aver accomunato nello scenario mistico del “Cantico delle creature” anche i minimi organismi, spesso sconosciuti o negletti, come gli esseri che danno vita al suolo fertile e aver denunciato con vigore pratiche agricole non armoniche con le necessità della natura e della biodiversità, fanno del testo del Pontefice un documento di un’ importanza dalla quale non sarà più lecito tornare indietro.
Ma nella sua meravigliosa ed ecumenica visione di un futuro migliore è discutibile, a mio parere, la posizione sulla crescita demografica che sarebbe “compatibile con uno sviluppo integrale e sociale”. Problema già adombrato in un’intervista precedente in cui il Papa però si era espresso in modo diverso sulla crescita demografica incontrollata parlando di comportamento da “conigli” da non imitare.
Io credo che anche una maggiore equità e distribuzione delle ricchezze tra un mondo “ricco Epulone” e un’umanità “povero Lazzaro” (Luca, 16, 19-31) che il Pontefice auspica non salverebbero il Pianeta dal degrado che sta rapidamente avanzando.
Perché purtroppo le masse che crescono (che arriveranno nel 2050 a circa 10 miliardi ) e premono ai confini dei paesi più pingui, avidi ed egoisti, non hanno neanche esse un obbiettivo di vita più adeguata alle risorse di un mondo nel quale già da tempo sono stati superati i limiti della sostenibiità planetaria. Tanto che, secondo le previsioni, se una qualsiasi popolazione dei paesi in via di sviluppo volesse arrivare ai livelli (e nessuno può giustamente vietarlo) di una nazione come l’Italia, già oggi non esisterebbero risorse per esaudire le sue richieste. Con il risultato, come sostiene il WWF parlando di “Impronta ecologica”, che occorrerebbe un altro Pianeta per corrispondere alle aspettative di tutte le popolazioni ancora non approdate all’eden consumistico che l’attuale sistema economico propone ed esalta.
E siccome l’obbiettivo di tutti coloro che oggi sono privati dei pur minimi diritti (cibo, acqua, servizi igienici, giustizia, democrazia) è purtroppo quello di raggiungere proprio il modello consumistico avido e suicida che sta divorando il Pianeta, sarebbe giusto rallentare quanto è possibile una crescita ormai insostenibile. Questo soprattutto, ovviamente, nei consumi devastanti degli Epuloni, ma anche nell’aumento incontenibile dei Lazzari, che sono le principali vittime di una economia avida e irresponsabile dominata dalla politiche economiche delle multinazionali.
Obbiettivo che si potrà ottenere solo con una autentica liberazione delle donne, ancor oggi sottoposte, nei paesi con maggiore crescita demografica, a orrende sopraffazioni, mutilazioni e stupri fin da bambine, schiavizzate da maschi prepotenti ed egoisti, colpite nei diritti di uso del proprio corpo per arcaici diritti tribali. La missione, che dovrebbe essere globale, in direzione dell’educazione e dell’elevazione culturale delle donne e della difesa strenua dei loro diritti, può rallentare il processo che, pur mitigato dalle possibili misure di equità economica e sociale auspicate dal Papa, sta portando l’umanità al collasso.
Titana la Rossa (2014) Se sfioro l’erba, sono verde.
(Paavo Havikko – Finlandia)
In distretti di lotta, questa notte
Continua a negarci pietà al sonno.
Galassie, mondi portentosi, li so
Nell’universo di dèi nebulosi.
Come Amor si vuole, e non ti dico
Una supplica, perché ci gira attorno
Quella tigre pronta a graffiarci core,
Come suo centro favorito? Oh, scorno!
Me tapina! Io no, non son cattiva
Anche se nata d’un altro colore.
Se l’erbe sfioro, verde di gioia sono,
Come una lacrima di sole al vento.
E, stranamente, come formica
Scossa, in sì lieve camicia rossa,
Son più pacifica di molte bestie.
(Titana! Titana, le macini, parole,
Per poi trovarti a pestar un tasto:
Ed è il Male il buon dente guasto):
Quella interiore secerne a dolore.
Sui miei passi strascicati sull’orlo
D’una fossa ora spiovono stelline
Di fiore, come stille di occhi lassù,
E di contrade morte. Da poco un mar
Di petroli si è riversato fin qua,
Come fibrosi di spessi liquami
Affondò in cavità di brutto sogno:
Terrea, ci indugio a occhetti aperti.
Anzi, m’inoltro nello scuro del pozzo
Della memoria, scoprendo capezzoli
Petrosi d’una grotta imbandierata
Di pipistrelli: ed ecco la nausea…
Con far d’olfatto, per caso discesi
In labirinto osceno: e lì m’ingolfo
A fagiolo, in pappa di brace e muco.
Caccio vocetta, mi fece eco tronco
Stornello d’un menestrello: tocco
Al cervello, mostro vero o cammello
Che fosse, mi ritrovo nell’avello
Di ostile formicaio. Nel ritornello
Che piega schiene lucidandola bella,
Una Rolls Royce, v’impazzava lucetta
Come di sigaretta: la solita ramazza
Con fumetto d’aria fritta, a dritta
Nettò cenere teschietto in elmetto.
Troppo spesso il desiderio è debole,
Sta asservito al pensiero del Nulla,
E sulla ruota di destini, capperina!
Si crocifigge culto, libertà, poesia,
Con frigida noia o per vile sollazzo.
Piramide di bocche voraci, di sedani
Da paura, bruciavan calorie com’è
Di natura; brillo birillo ronfava
Tra quelle grinfie pronte a banchetto.
Che far, come tornar su, al Tronchetto?
Ah, vacillo! Ne spillai da baccello
Lì dove ormai s’è fatto gran bordello.
Mi serviva, però, bello stratagemma
Per non finirci in salamoia! Dilemma
Se usarla o non usarla, mascherina
Di cui son regina, di quando mi sento
Siccome una ruina. Leggere il vento
È un’arte di poche e anch’io salpai
Verso riviere più serie. “O mal mosse
Schiere, o formiche annerite di tosse”,
Così dissi loro, e falsa e stentorea,
“Giammai v’arrovella l’incompiuto,
Il senso perduto di cose, uno starnuto
Nel fazzoletto d’erba del più vicino?
Quest’ambascia l’avverte vicino:
Ombre rosse dalle fila ben serrate,
Nel riscatto d’amore a pene celate,
Stanno pronte a calar come spade
In questo paradiso di orchi e fate.
Tra le antenne non hanno fossette
Né sorriso ebete per due mossette
Di sederino… Ah, ah! Battagliere
Sì, morrete mangiando ’sta polvere!
Ben ci piace crosticina, non mollica
Sciapa. A vibrare d’ali e di mani
Congiunte, mosseci per vera sete,
Tra poco tutte vi scrolleremo in tino
Ove pece già ne sa dell’inferno divino!”.
Ratto m’involo: sul filo del rasoio
Tiro recchie, zampette torco a questa,
A quell’altra troiana, ficco due pinze
Nella pancia di chi ebbe cortocircuito.
Ciò si gira, ronzando strabuzza fanali.
Per Odino, gli fo’ un occhiolino!
Scalciando, il trombone sbatacchia
Quelle di dragone dall’alito pesante.
Caso vuole che in cul a baleno, tra uno
E quell’altro pelo, me ne sia gita.
Su dune salimmo per erte a noi nove,
A riveder le stelle che un tutto move,
Ma la luna io toccai con picciole dita.
E seppi d’altre cose mossa una lode
A cavalcatura stronza, di frode:
Mi scrollò nell’infinito. La morte
Si fece molto vicina. Ora sfinita,
L’ora rapace, la sento più forte.
Viene l’onda del destino: finita,
Rendo la cara vita. Lo stremo sfronda.
Francesco, Perugia (ripensando a disastro nel Golfo del Messico)