Aracnofobia
19 Febbraio 2009 - Categoria: Natura in cittàGiorni fa, dagli uffici comunali che curano i Cimiteri Capitolini, ho ricevuto una diffida “per intervento di manutenzione dell’essenza Hedera” riguardante la tomba di famiglia acquistata da mio nonno nel 1926. La ragione, inoppugnabile, era che l’edera nata sulla tomba dei miei parenti aveva invaso con i suoi tralci quella dei vicini.
Naturalmente, per evitare un intervento d’ufficio dell’Amministrazione ai sensi del Regolamento di Polizia Cimiteriale (art.52 e 53) ci siamo recati, un mio fratello ed io ( in vista oltretutto di un non lontano nostro utilizzo di quel cenotafio) al Cimitero del Verano armati di forbici da potare e di sacchi per l’immondizia.
Bisogna dire che il monolito marmoreo che sovrasta la pietra tombale era da anni divenuto un vero e proprio obelisco verde ricoperto di edera sui cui fiori bottinavano le api, sulle cui bacche gozzovigliavano merli e storni, nel cui fogliame nidificava lo scricciolo.
Dopo la severa operazione di potatura partendo dal basso, eliminata l’invasione dei sepolcreti adiacenti, l’edera restava solo come un buffo pon pon verde sulla cima dell’obelisco progettato da nonno Attilio.
Ho chiamato i gentili funzionari che ci avevano inviato la diffida, ma questi, pur soddisfatti del lavoro compiuto, mi han detto che anche la restante vegetazione andava eliminata per ridare dignità al monumento. In quanto, secondo loro, l’edera era comunque un elemento di disturbo.
Questo episodio fa capire l’atteggiamento generale in vigore nel nostro Paese nei confronti della natura non codificata. Ed ecco le potature mutilanti, le piante in vaso lasciate morire, gli erbicidi irrorati sui marciapiedi contro la timida vegetazione erbacea che cerca di farsi strada tra i selci e l’asfalto.
L’uso imprudente degli erbicidi apre un altro preoccupante capitolo di ecologia urbana.
Quello degli insetticidi.
L’arrivo, pochi anni fa, della zanzara tigre, ha dato l’avvìo a campagne di disinfestazione indiscriminate e massicce nelle città.
Al di là del giro d’affari che tutta l’operazione attiva, la molla principale risiede nell’ossessione della gente nei confronti soprattutto degli insetti e dei ragni. Il termine psichiatrico è “aracnofobia”.
Così, per evitare qualche pur fastidiosa puntura, ci si espone, e si espongono soprattutto i bambini, – più indifesi nei confronti dell’inquinamento – a nuvole di sostanze chimiche che, proprio per la loro connotazione di essere”biocidi”, scatenano comunque processi pericolosi a lungo termine.
Se nelle campagne l’uso dei pesticidi è abbastanza regolamentato e controllato, in città, ove la popolazione è mille volte più concentrata, si agisce in assenza di regole e con una disinvoltura pericolosa. E il fatto che, per cercare di eliminare gli insetti fastidiosi, si distruggano anche i loro competitori naturali come pipistrelli, libellule, uccelli insettivori eccetera, e s’innestino patologie come i tumori infantili, Parkinson e Alzheimer (oggi in forte aumento) non sfiora i cittadini che, attraverso i condomini e i municipi richiedono pressantemente sempre più interventi e irrorazioni.
In certi uffici, come mi ha rivelato una signora fermandomi per strada, alla comparsa di qualsiasi ragno o insetto nelle stanze, si procede a disinfestazioni a tappeto, attivando malattie che solo dopo anni faranno la loro tragica comparsa. Non si spiegherebbe altrimenti l’insorgenza e l’incremento di allergie e di tumori infantili, un tempo assai meno comuni.
Oltretutto, la lotta alle zanzare, se operata sulle larve, può avere qualche risultato, mentre quando è rivolta contro gli insetti adulti, anche se tranquillizza gl’ intolleranti, (confortati dalle nuvole di veleni davanti alle loro finestre) non fa che indurre processi di resistenza negli insetti, obbligando i disinfestatori a ripetere sempre più spesso gli interventi e a usare prodotti sempre più tossici.
Come dimostra con evidenza la biologa Rachel Carson nel suo profetico libro “Primavera silenziosa” del 1962.
D’altra parte la tenace alleanza tra ignoranti aracnofobi e astuti disinfestatori (i quali pescano nell’insofferenza dei primi, stimolandola con campagne pubblicitarie terrificanti), se in più può contare sul nullaosta e i contributi delle autorità comunali, è ben difficile da contenere.
Anche perché, come si è detto, mentre i fastidiosi pomfi sono immediatamente percepibili, un tumore al fegato, ai reni o alla vescica (tutti mali cui sono soggetti, nelle campagne, gli utilizzatori dei pesticidi) si manifesta magari solo dopo cinque o dieci anni. E ciò rende difficile il collegamento causa/effetto, collegamento che solo le rilevazioni statistiche possono compiere con credibilità e che non lasciano dubbi sul legame tra l’alluvione di nuove molecole chimiche e l’aumento delle malattie, anche quelle non causate dall’invecchiamento della popolazione.
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